
Protagonisti
Gabriele Basilico
E’ uno dei rappresentanti italiani della fotografia di architettura
e paesaggio, riconosciuto a livello internazionale. Si laurea in
architettura nel 1973. Negli stessi anni inizia a fotografare, concentrando
il suo interesse sulla città e sul paesaggio urbano. Nel 1983 realizza
la sua prima mostra importante al PAC di Milano dal titolo "Milano,
ritratti di fabbriche". L’anno dopo viene invitato a partecipare
con altri 28 fotografi internazionali alla "Mission Eliographic"
in Francia, la più vasta e articolata campagna fotografica europea
di tutto il secolo. Un’esperienza che ha segnato una svolta radicale
nello stile di Basilico. Da allora ha unito all’ispirazione un senso
di contemplazione che lo induce ad individuare nelle proprie immagini
forme che richiamano ad altrettante visioni, così il soggetto urbano
fotografato assume un valore metafisico. Tra il 1982 e il 1988 lavora
al progetto "Porti di mare" e nel 1991 è a Beirut dove insieme ad
altri realizza una campagna fotografica dopo la fine della guerra.
Dalla metà degli anni ’80, nel sempre maggiore interesse per la
trasformazione del paesaggio, Basilico si pone il problema della
difficile comprensione e della possibile interpretazione del nuovo
aspetto che l’habitat umano sta assumedo e tenta, attraverso la
fotografia, una ricomposizione del problema sia in chiave estetica
che concettuale. Il tema dell’identità della città tra presenza
storica e sviluppo contemporaneo, tra distruzione e ricostruzione,
tra utopia urbanistica e cantieri per il futuro è sempre affrontato
con scatto in bianco e nero, elemento fondamentale che caraterizza
la quasi complessità della sua opera fotografica. Nel 2003 partecipa
alla V Biennale Internazionale di Architettura e Design di Sao Paulo
con un progetto sui recenti interventi architettonici in Portogallo,
esposta l’anno successivo in Triennale a Milano col titolo "Disegnare
la città". Nel 2004 ha partecipato ad una collaborazione europea
sulla città di Santiago de Compostela, è intervenuto con una esposizione
nell’anno di Genova capitale della cultura e ha lavorato al progetto
"Postcard city" tra Mantova e Barcellona. Nella primavera 2005 sue
riprese inedite di Napoli sono state esposte presso il Palazzo Reale
dell’omonima città.
Mostra
Paris Périphérique fotografie
di Gabriele Basilico
Sottoposto ad una trasformazione accelerata nel tempo senza precedenti,
lo spazio urbano si presenta oggi come una vera e propria metafora
della società, uno scrigno ricchissimo di indizi sulla vita contemporanea
che merita di essere osservato con grande attenzione.
Un lavoro sulla periferia urbana, divenuta negli ultimi anni lo
scenario prediletto per le ambientazioni di romanzi e film, cantiere
ideale della sperimentazione architettonica a partire dal dopo guerra.
Essa si mostra come il terreno più complesso e cosmopolita della
città: luogo di confine per eccellenza. Immagini realizzate tra
il 2001 e il 2004 che affrontano il tema della periferia come laboratorio
aperto, come work-in-progress, scattate in luoghi e città diverse,
anche lontane. Immagini che sorprendono e incantano, oggetto di
una nuova interpretazione estetica del tessuto e del luogo urbano,
secondo un accostamento e una sequenza che rifuggono da ogni paradigma
tipologico, geografico e storico, quasi a costruire una narrazione
concepita come flusso musicale.
Mario Cresci
Fotografo e visual designer. Docente di "Storia e tecnica della
Fotografia" alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università
di Parma. Visiting professor all'Ecole d'Arts Appliqués di Vevey,
Losanna. Docente di "Teoria e metodo della Fotografia" alla NABA,
(Nuova Accademia di Belle Arti di Milano). Docente nei corsi di
specializzazione post-laurea dell'Accademia di Brera a Milano. Dal
1992 al 2000 ha diretto l'Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo.
Dal 1996 al 1999 è stato direttore artistico di "Savignano Immagine",
manifestazione dedicata alla fotografia contemporanea, alle arti
visuali e alla creazione di un "Archivio del territorio". Le immagini
di Mario Cresci sono attimi della vita, uno starci dentro e raccontarla.
Raccontare di oggetti, luoghi e persone che sono passato e presente;
"L'atto del fotografare appartiene non solo alla professione,
ma ancor più al pensiero e al comportamento dell'individuo che è
consapevole del suo giusto ruolo nella società". In quasi quarant'anni,
Cresci ha continuamente intrecciato differenti linguaggi visivi
per "rovesciare", riscrivere, reinterpretare la cultura, il paesaggio,
i luoghi; un modo di stare "più" dentro, non fermarsi al margine
ma guardare attraverso i segnali "minimi" riscoprendo ciò che è
dimenticato, mettendo al centro ciò che è a margine. A metà degli
anni ’60 le sperimentazioni di Cresci si inseriscono nel clima di
rinnovamento e tensione sociale; i suoi primi lavori sono approcci
non convenzionali all'uso della fotografia, vere e proprie "fotografie
analitiche", che prendono esempio dalle indagini sulla percezione
visiva. Continua poi con la serie "Environnement, mille immagini
in mille cilindri trasparenti" che realizza per la galleria “Il
Diaframma” di Milano: oggetti tridimensionali, quasi beni di consumo.
Ma è a Matera, dove Cresci si trasferisce negli anni ’70, che inizia
una ricerca di fotografia sociale del tutto inedita per la scena
italiana. Delle architetture dei Sassi, degli strumenti di lavoro
o dei volti, Cresci non fa solo una documentazione; il suo intento
è invece seguire il continuo fluire del tempo, il mescolarsi del
passato con il presente. I Sassi coperti dalle carcasse di frigo,
i volti "mossi", gli interni delle case contadine non sono un reportage,
ma uno sguardo che si confronta con una cultura a margine rispettandone
la storia e la cultura. L'interesse per il paesaggio è un altro
tema centrale nella ricerca di Cresci. A partire da "Vedere a rovescio"
del 1974 e fino agli anni ’80, il suo paesaggio è una stretta "relazione"
con gli uomini che lo abitano, un luogo in movimento. Gli anni ’90
sono per Cresci di nuovo tempo di cambiamento; è direttore dell'Accademia
Carrara di Belle Arti di Bergamo e il suo lavoro di artista compie
un percorso che Roberta Valtorta ha definito "tempo circolare".
Tornando sui luoghi, con scatti a colori, Cresci tenta di indagare
ancora altri "minimi" segnali, altre pieghe, ancora occasioni. Oggi
collabora alle pagine della cultura dell'inserto domenicale del
quotidiano "Il Sole 24 ore". Ha pubblicato numerosi saggi e libri
dedicati alla fotografia e alla comunicazione visiva. Sue fotografie
sono nella collezione del Museum of Modern Art di New York, nella
collezione di Marella Agnelli e in quella del CSAC dell'Università
di Parma. Nato a Chiavari (Ge) nel 1942, dal 1992 risiede a Bergamo.
Mostra
Misurazioni fotografie
di Mario Cresci
“Misurazioni” è un’esplorazione del rapporto tra fotografia, immagine,
antropologia e memoria. Cresci è noto nel panorama artistico internazionale
per il suo approccio semiologico al linguaggio visivo, che l’ha
portato a compiere un percorso ed una ricerca che oltre alla fotografia
contempla la progettazione grafica e la scrittura teorica. Questo
lavoro è il frutto di una ricerca compiuta tra il 1974 e il 1979,
periodo segnato dal suo insediamento a Matera, dove trascorrerà
l’intero decennio e alla quale sono dedicate le immagini della mostra.
L’evoluzione artistica di Cresci è imprescindibile dalla sua vicenda
biografica, legata in buona parte a quel Mezzogiorno d’Italia, e
alla Basilicata in particolare, di cui ha saputo dare un’immagine
non convenzionale, lontana dai clichè oleografici quanto dall’approccio
tradizionale della fotografia sociale, o del reportage. Una visione
“dall’interno” di chi per vent’anni in quei luoghi ha vissuto, lavorato,
e nel suo caso, lottato per una migliore qualità della vita e del
progetto. “Fare fotografia è per me la riflessione continua sul
mezzo e sulle sue potenzialità, niente affatto acquisite, ma soggette
ad una continua ricerca linguistica”.
Nino Migliori
Il percorso fotografico di Nino Migliori nasce da esordi amatoriali
ma con già in nuce una particolare vena artistica che si struttura
a livello di immagine in atmosfere oniriche e suggestioni surreali,
partendo dal dato reale. E’ facile notare nei suoi primi paesaggi
urbani e nei ritratti tracce legate alla sperimentazione con la
luce e citazioni alla pittura. Dalle “Ossidazioni” ai “cliché-verres”
(primi anni ’50) al “Tempo Dilatato” (1974) fino alle piú recenti
“Trasfigurazioni” (1998-2000) la sperimentazione approda ad una
rinnovata istanza di lettura all’interno della cultura dell’immagine.
La fotografia di Nino Migliori, dal 1948, svolge uno dei percorsi
più diramati e interessanti della cultura fotografica europea: la
fotografia appare divisa tra istanze neorealiste - che lo portano
a raccontare una realtá fondata sul primato del "popolare"- e una
sperimentazione sui materiali del tutto originale ed inedita che
gli permette di produrre le “Ossidazioni” e i “Pirogrammi” - opere
senza precedenti nella fotografia - comprensibili solo se lette
all’interno di un percorso che passa da Tàpies a Burri, con esiti
spesso di anticipo nei confronti della cultura artistica mondiale.
Dalla fine degli anni ’60 e negli anni successivi, nel suo lavoro
tende a prevalere la dimensione concettuale. Migliori si trova,
con pochi altri in Italia, a proseguire la ricerca delle avanguardie
sul fronte della riflessione sui linguaggi dell’immagine, con la
fotografia come nodo centrale del discorso. E’ l’autore che meglio
rappresenta la straordinaria avventura della fotografia che, da
strumento documentario, assume valori e contenuti legati all’arte,
alla sperimentazione e al gioco. Oggi si considera Migliori come
un architetto della visione per la sua capacità di creare
la fotografia lavorando ogni volta su un progetto preciso. La sua
produzione si trova nelle collezioni della GAM di Bologna, al museo
di Praga, alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, alla Bibliothèque
Nationale de Paris al Museum of Modern Art di New York e in molti
altri musei mondiali.
Mostra
Segnificazione fotografie
di Nino Migliori
Un lavoro del 1978 che si interroga sulla credibilità della fotografia
come rappresentazione fedele della realtà. Arturo Carlo Quintavalle
in un testo illuminante sul lavoro di Migliori sottolinea l’assunto
che “la fotografia si suppone riproduca la realtà”, ma la
realtà è forse riproducibile? La realtà riprodotta è veramente la
traduzione di ciò che vediamo o è altro? È oggettivamente
altro, poiché è un segno a parte, “una mercificazione del senso”
nelle parole di Quintavalle. La smaterializzazione dell’oggetto
applicata da Migliori, carica di senso i particolari e li investe
di significati. Con “Segnificazione” egli attraversa con una strizzatina
d’occhio tutta la storia dell’arte: passa dalla cultura contemporanea
fissata in una visione macroscopica della realtà, per poi sfiorare
con i suoi particolari il surrealismo e approdare quindi al “movimento”,
cardine del Futurismo.
Uno, nessuno centomila… I significati sono tanti quante le realtà
significate. E non si può che concordare con Philippe Daverio quando,
a proposito della visione di Migliori, proclama: “La fotografia
ha diritto all’ambiguità”.
Carmelo Nicosia
Fotografo siciliano, considerato tra i più interessanti ed innovativi
autori della fotografia contemporanea italiana, presente con le
sue opere nelle più importanti collezioni museali, dal 1993 conduce
un’indagine visuale sulle tematiche "del viaggio, dell’erranza,
della memoria in relazione all’utilizzo dello specifico fotografico".
L’autore sviluppa una particolare attenzione per l’elemento dell’acqua,
che diviene strumento di riflessione sul concetto di identità e
sullo sviluppo delle dinamiche sociali, con particolare attenzione
alla sua isola, la Sicilia. Acqua regolatrice di flussi culturali
e di scambio, ma anche attrazione fatale verso le profondità della
visione. Negli ultimi dieci anni, l’autore ha ripercorso luoghi
di miti antropologici, città, paesaggi naturali selvaggi come le
pendici dell’Etna e l’arcipelago eoliano. Le immagini rappresentano
momenti rituali del viaggio e della navigazione, dell’emozione scandita
dai ritmi del viaggiatore. Sono spesso elementi primigeni che vengono
catturati per essere poi interiorizzati verso un rapporto tra "l’uomo
e i luoghi da lui affrontati, alle esperienze improvise e imponderabili
che esplodono nelle arcane terre isolane" come afferma Giovanni
Iovane.
Mostra
L’ultimo sole fotografie
di Carmelo Nicosia
Carmelo Nicosia conduce una ricerca sulle tematiche dello spostamento,
della memoria e delle relazioni che intercorrono tra la presenza
umana e gli scenari del pensiero contemporaneo. Il progetto fotografico
“L’ultimo sole” comprende immagini realizzate tra Acicastello, Acitrezza,
Lipari, Vulcano, Salina, Stromboli, Filicudi, Alicudi e altri luoghi
mitici del Mediterraneo che sintetizzano i momenti rituali del viaggio
e della navigazione: la partenza, le soste, l’attesa, l’approdo…
Così come gli elementi naturali dai quali si sprigiona l’energia
che dona il ritmo al viandante: acqua, aria e materia vulcanica.
Lo sguardo è rivolto più ad un arcipelago immaginifico che ad una
geografia apparente e consolidata così che il viaggio diviene paradigma
di un viaggio interiore alla ricerca di un approdo conosciuto, ma
troppo spesso dimenticato tra le pieghe della coscienza umana. Dalle
parole dell’autore: "Nei luoghi dell'ultimo sole il viandante
del terzo millennio riposa il corpo e la mente. La roccia calda
emana vapori misteriosi e attira lo sguardo del viaggiatore che
si è messo in cammino; egli ha seguito il corpo e la mente, ha abbandonato
la dimora, ha rivolto altre attenzioni, ha seguito elementi primari.
I luoghi dell'ultimo sole hanno le caratteristiche della nostalgia
per un passato mai visto e per un futuro sconosciuto, luoghi del
distacco che squarciano il veli della visione, alla ricerca di uno
sguardo primigenio".
Marco Pesaresi
Marco Pesaresi, nato a Rimini nel 1964, si afferma presto come uno
dei migliori talenti della fotografia italiana. Dopo gli studi superiori,
ha seguito i corsi dell'Istituto Europeo di Design a Milano dove
ha cominciato la sua carriera di fotografo professionista. Dopo
avere viaggiato in Africa e in Europa, il suo interesse fotografico
si è concentrato sui più vari, complessi e difficili problemi sociali
tra cui gli immigrati e gli emarginati, la droga e la prostituzione.
Le sue foto sono state pubblicate sulle più prestigiose testate:
"Panorama", "Espresso", "Geo", "El Paìs", "Sette", "The Independent",
"The Observer" etc, in Italia e all'estero. Tra i suoi più importanti
reportage: la lunga ricerca in bianco e nero su Rimini, la città
nella quale è nato. Questo lavoro è stato pubblicato su "Geo magazine"
in Germania, su "The Observer” in Inghilterra, su "American Photo"
e sulle principali edizioni di "Photo". Nel 1994 ha vinto il Premio
Linea d'Ombra. Dal 1990 è membro di Contrasto. Nel 1995 è stato
selezionato tra i migliori 12 fotogiornalisti per partecipare al
World Press Photo Masterclass. Nel 1996, la redazione di "El Pais-Magazine"
ha riconosciuto a Marco Pesaresi la "Special Honour Mention" per
il suo lavoro sulle metropolitane nel mondo. Le metropolitane del
mondo è appunto il suo lavoro più importante: realizzato nel corso
di due anni con numerosi viaggi, documenta la vita all'interno delle
più importanti metropolitane del mondo (Berlino, New York, Londra,
Calcutta, Mexico City, Mosca, Madrid, Tokyo, Parigi e Milano). Questo
reportage è stato pubblicato a puntate su "El Paìs magazine" in
Spagna e su "Sette del Corriere della Sera" in Italia. Una selezione
delle migliori immagini è stata presentata in occasione del festival
"Visa pour l'Image" a Perpignan nel settembre 1996. Il libro “Undeground”,
pubblicato in Usa da Aperture e in Italia da Contrasto, con l'introduzione
di Francis Ford Coppola, e una mostra itinerante che ha già toccato
Milano e Londra, hanno decretato il successo e il valore di quest’opera.
Nel corso della sua carriera ha esposto in numerosi spazi: Centro
Arti Visive (Rimini) 1988; Photogallery Aroma (Berlin), 1989; Photo
Feast International (Rotterdam),1994; Rencontres Internationales
de la Photographie (Arles), 1994, Triennale (Milano), 1998, Pitshanger
Gallery (Londra) 2000. Il 22 dicembre 2001, in circostanze tragiche,
muore improvvisamente nella sua Rimini, città dove aveva lavorato
a lungo, e che sarà l'oggetto di un suo nuovo libro pubblicato nel
2003.
Mostra
Poesie fotografie
di Marco Pesaresi
Volgo lo sguardo ad Est
il sole illumina e scalda il respiro.
Torme di bianchi gabbiani
fluttuano nel vento freddo, aspro
del sorgente inverno.
Chiazze di luce illuminano la maculata
spiaggia, arida, divina, arcana.
Grida di fanciulli in fiore confluiscono
coi tonfi delle onde del mare sulla battigia.
Il profumo dell’aria salmastra e grigia avvolge un albero addobbato
a festa.
Latrati di cani giungono femminei nelle nostre dimore.
Odo in lontananza il calpestio frusciante sulle foglie rattrappite
dalla morte autunnale.
Sento il senso e lo spessore unico ed indicibile del passare del
tempo…
Tommaso Bonaventura
Tommaso Bonaventura nasce a Roma il 20 marzo 1969. Ha una formazione
umanistica a cui affianca lo studio e la passione per la fotografia;
questa passione lo porta a vincere una borsa di studio nel 1987
per frequentare il corso superiore triennale di fotografia presso
l'Istituto Europeo di Design di Roma e consegue il Diploma di fotografia
con il massimo dei voti nel luglio 1990. Parallelamente concentra
i suoi studi universitari sull'approfondimento della storia dell'arte
moderna e contemporanea, della critica d'arte e dell'analisi iconologica.
Nel corso del 1991 si trasferisce a Londra per un periodo di formazione,
collaborando con vari studi fotografici. E’ nel settembre 1992 che
ha inizio l'attività di fotogiornalista. Collabora con alcune agenzie
fotogiornalistiche e con i maggiori quotidiani e settimanali italiani
e, nel biennio 1993-1995, realizza una ricerca fotografica sulla
regione Molise con l'intento di ritrarre le caratteristiche e le
contraddizioni di una delle aree periferiche della realtà italiana.
Nel corso del 1996 collabora con l'Istituto Europeo di Design di
Roma, svolgendo seminari sulle origini del ritratto fotografico
e le sue relazioni con la pittura ottocentesca. Contemporaneamente
avvia l'attività di ricerca per la stesura della tesi di laurea
dedicata all'analisi della figura e dell'opera di Mario Giacomelli.
Negli ultimi anni ha realizzato numerosi reportages e ritratti per
le testate italiane ed internazionali. Un reportage lungo il Danubio,
numerosi viaggi nei paesi dell’ Europa dell’est, un’ampia ed approfondita
ricerca sulla comunità musulmana in Italia sono i suoi lavori che
si impongono all’attenzione dell’editoria italiana ed internazionale.
Bonaventura è impegnato da tempo nella realizzazione di un progetto
a lungo termine sui pellegrinaggi cristiani in Europa, vincitore
del Premio Gribaudo 2002 e della menzione d’onore al premio Fnac
2004. Una foto del progetto, ritraente il pellegrinaggio al fiume
Velikaya, nella Federazione Russa, è risultata vincitrice del primo
premio al World Press Photo 2005, categoria “Arts and Entertainment”.E’
membro dello staff di Contrasto dal 1996.
Mostra
Pellegrini fotografie
di Tommaso Bonaventura
I pellegrinaggi cristiani del XXI secolo non sono certo quelli del
XII, ma i tracciati su cui si muovono sono spesso gli stessi, e
le dimensioni quantitative del fenomeno tuttora significative e
in espansione. A migliaia, i pellegrini attraversano l’Europa sulle
tracce di una storia cominciata più di mille anni fa; simili a uccelli
migratori, sentono il richiamo della propria cultura, la forza della
tradizione, il fascino irresistibile dell’organizzazione collettiva
delle emozioni: viaggiano per chilometri singolarmente o in gruppi
, per espiare peccati o per grazia ricevuta, per sfidare se stessi
o sperando in un miracolo.
Questo lavoro nasce dall’esigenza di comprendere le motivazioni
che spingono ogni anno centinaia di migliaia di persone a mettersi
in viaggio per raggiungere luoghi dai nomi ormai mitici: Lourdes,
Czestochowa, Fatima, Santiago de Compostela, Medjougorie, S.Giovanni
Rotondo, Rocio, Veljkaya. Negli ultimi anni ho seguito questa eterogenea
umanità a piedi, in treno, in bus, attratto dalla loro speciale
relazione con il territorio, sempre vissuto attraverso il filtro
della storia, come fosse un solco da ripercorrere guidati dalle
suggestioni e dalle esperienze delle generazioni precedenti. Il
territorio così vissuto si umanizza, si fa rapporto con chi lo ha
già percorso, diviene frontiera temporale con il passato. Acquisire
una tradizione significa scegliere una appartenenza: I “Pellegrini”
che ho conosciuto la sottoscrivono ogni anno, con i gesti e i riti
di sempre, simboli di una storia millenaria che si ripropone nel
presente.
Theo Volpatti
Theo Vopatti è nato nel 1977 in Valtellina, Italia. Si sposta a
Milano per seguire l’università al Politecnico, nello stesso periodo
inizia il suo interesse per la fotografia frequentando i corsi del
IED. Nel 1991 si trasferisce a New York dove termina gli studi con
una specializzazione in fotografia. Dal 2001,le sue immagini sono
proiettate all’interno dell’evento “La Milanesiana”, sotto il patrocinio
della provincia di Milano, che ha luogo in Palazzo Isimbardi. I
suoi scatti presentano e sottolineano gli eventi del mondo che riguardano
artisti e scrittori conosciuti. Nel 2002 documenta le dimostrazioni
pacifiste negli USA e inizia un ambizioso progetto sui quartieri
ebraici di New York, per illustrare e aiutare una possibile coabitazione
tra i differenti gruppi etnici della città. Nel 2003 presenta quattro
ritratti inconsueti in occasione della mostra “Young American Photographers:
Challenging The Future” presso la “Gallerie La Fayette” a Parigi.
Nel medesimo anno la Teti Editore con sede a Roma, in collaborazione
con la RCS, usa i suoi scatti in occasione alla mostra dedicata
ai fotografi italiani. Le foto sono state esposte presso Exhibit
Palace in San Pietroburgo per l’anniversario di fondazione della
città. Facendo buon uso del suo lavoro come assistente universitario
nei corsi di fotografia al Bir-Ziet university a Ramallah, Theo
Volpatti lavora su un reportages nei Territori Occupati, un intimo
rapporto sulla vita quotidiana in questa regione. Al momento sta
lavorando ad una esposizione organizzata dall’autorità nazionale
palestinese in Italia. Nel 2004 ha lavorato sul set, documentando
il film “Looking for Alfred”, diretto dall’artista belga Johan Grimonprez.
Le immagini relative sono ora esposte a Londra presso la Photographer
Gallery e al Museo Nazionale di Rotterdam. Nello stesso anno è stato
anche vincitore della Borsa di Studio Marco Pesaresi, attribuita
dall’edizione 2004 di FestivalFoto di Savignano sul Rubicone, con
il progetto Palestina. Alla fine del 2004 compie un viaggio in Mongolia,
dove documenta intenzionalmente gli aspetti più tradizionali del
Paese, focalizzando la sua attenzione sugli aspetti più oscuri del
territorio.
Mostra
Palestina fotografie
di Theo Volpatti
Il lavoro “Palestina” è un ritratto di vita quotidiana del popolo
Palestinese. Mettendo a frutto l'incarico trimestrale d'assistente
universitario ai corsi di fotografia dell'Università di Bir-ziet
(Ramallah- WestBank), ha realizzato un ampio reportage sui territori,
uno spaccato intimo della vita in quella tormentata regione. E'
in corso di realizzazione una mostra fotografica curata dall'Autorità
Nazionale Palestinese in Italia. Queste immagini sono ora raccolte
in un ampio reportage che ripercorre le tappe della sua permanenza
in questi luoghi martoriati. Le sue fotografie sanno cogliere l'intensità
delle problematiche senza mai dimenticare le atmosfere, le espressioni
delle persone, la magia dei luoghi.
"Inebriato da intensi profumi, camminando per le strade di Ramallah
sento subito forte il legame con questo popolo e questo paese. Quella
melanconica atmosfera, l'odore forte di terra che ancor più lo diventa
in giorni di pioggia, lutto e tristezza. E le voci duellanti provenienti
da minareti di moschee che invadono e penetrano l'aria. Le amicizie
misteriose ,le tragiche storie di giovani pronti a morire per la
libertà. Le folli notti passate ad amare, nascosti in casa. Tutto
questo mi ha fatto innamorare della Palestina. Mi ha lasciato un
segno indelebile nella memoria e nell'anima."
Marcello Bonfanti
Marcello Bonfanti inizia le sue esperienze artistiche in giovane
età con un approfondito studio autodidatta e pratica della pittura.
Agli inizi degli anni '90 si approccia alla fotografia, mentre studia
ingegneria civile presso il Politecnico di Milano. Negli anni successivi
produrrà diversi reportage di viaggio in Europa, Australia, Asia,
Medio Oriente, Iran, Algeria, America Centrale. E' laureato in Photographic
Arts presso la University of Westminster di London, ha ricevuto
l'hodge Award 2001 dal giornale britannico "The Observer", il Jack
Jackson Award 2002 dal "Photo Imaging Council Uk" e il premio Le
logge 2004 al Toscana Foto Festival. Ha pubblicato su varie testate
nazionali ed europee ed esposto nelle principali gallerie fotografiche
di Londra.
Mostra
Le regine di Cuba fotografie
di Marcello Bonfanti
Mentre sognano le luci della ribalta, i travestiti di L'Havana -
Cuba, sfidano la cultura machista, la clandestinità e la repressione
di regime, per esibirsi in spettacoli di cabaret e danza. In un
paese dove ogni forma di aggregazione è controllata e deve essere
approvata dal regime, i travestiti hanno creato un circuito clandestino
e sotterraneo di feste, pubblicizzato solo ad un circolo ristretto
di pubblico. L'arte si fonde agli aspetti più intimi della psiche
umana: la cura dei costumi di scena, la danza e il canto, si fondono
con l'identità di genere sessuale. Il palcoscenico e' l'unico spazio
dove i travestiti cubani possono liberamente esprimere le tensioni
generate dal conflitto tra identità sessuale e identità biologica.
Le precarie condizioni economiche della media dei cubani, rendono
difficile il reperimento dei costumi e dei trucchi che spesso vengono
forniti a caro prezzo dal mercato nero.
Le immagini mostrano un mondo marginale e segreto, difficilmente
accessibile alla media dei cubani. Il mezzo fotografico è stato
utilizzato per produrre immagini dall'alto contenuto empatico, che
aiutano lo spettatore ad avvicinarsi a questo mondo nascosto. Ne
emerge la magia e la leggerezza del gioco, il dramma del conflitto
di identità, l'incanto dei lustrini e delle luci della ribalta che
illuminano, seppur per una notte, un contorno sociale povero e segnato
da privazioni di libertà. Le immagini aprono una finestra sulla
penombra delle stanze segrete, dove, nel cuore della notte, gli
uomini, come crisalidi, si trasformano. Una trasformazione dolorosa,
imperfetta, ma necessaria, segnata dallo stridente contrasto tra
il desiderio di femminilità, le incancellabili dimensioni e forme
dell'anatomia maschile che culmina in uno sguaiato ed inscenato
divismo.
Enrico Genovesi
Enrico Genovesi è nato nel 1962 e vive a Cecina, dove dal 1984,
affianca alla propria professione, una sempre più crescente attività
fotografica. Eclettico e capace di muoversi su più fronti è particolarmente
attratto dal reportage. E’ in bianco e nero che presenta i suoi
lavori fotografici più importanti. Dopo aver maturato varie esperienze,
sviluppa un’ampia ricerca fotografica in ambito sociale. Alcuni
lavori sono stati pubblicati in libri fotografici monotematici.
Una selezione di sue immagini prende parte ad una collettiva presentata
in maggio 1994 nella sezione portfolio del “Diaframma Kodak Cultura”
di Lanfranco Colombo a Milano. Il libro “Zuccherificio, immagini
della memoria industriale” ottiene una menzione nel concorso per
editoria fotografica “Opera Prima” nell’ambito della manifestazione
Portfolio in Piazza ’96 di Savignano sul Rubicone. Sequenze di sue
immagini ottengono menzioni speciali alla selezione italiana del
“Fujifilm Euro Press Photo Award” edizione 1996/97.
Con il reportage “Liberi Dentro, ...Gorgona penitenziario”, ottiene
numerosi riconoscimenti. Pubblica nel 2002 il libro “Nascimento,
il perpetuo miracolo della vita” per la ASL 6 livornese. Segue nel
2003 la pubblicazione del libro “Liberi Dentro Gorgona Penitenziario”
realizzato per il Ministero della Giustizia. Il suo ultimo lavoro,
“Femina Rea”, si aggiudica FestivalFoto2004 Portfolio in
Piazza di Savignano sul Rubicone. Fa seguito la mostra alla 7ª Convention
Internazionale di Orvieto Fotografia 2005. Sta lavorando, su incarico
della Provincia di Livorno, ad un progetto Comunitario su inserimenti
lavorativi di classi sociali disagiate, che darà presto luogo alla
pubblicazione di un nuovo libro.
Collabora saltuariamente con l’agenzia Grazia Neri di Milano.
Mostra
Femina rea
Penitenziario Sezione Femminile fotografie di Enrico
Genovesi
Femina Rea è un reportage sulla carcerazione femminile, una storia
fotografica rivolta ad una quotidiana realtà, analizzata nel contesto
di più penitenziari italiani.
Un singolare spaccato di vita che raramente trova in tutti noi momenti
di riflessione.
Le parole, a volte, non raggiungono la profondità necessaria per
la comprensione dello stato d'animo degli altri, specialmente quando
questi “altri” sono sommersi dalla propria vita.
A queste fotografie l'intento di riuscirci.
Simone Martinetto
Simone Martinetto, affascinato da sempre dal tempo e dai diversi
modi di concepire passato, presente e futuro, vive a Bologna dove
è laureando in filosofia estetica con una tesi di fotografia con
Claudio Marra.
Nato nel 1980 a Torino, nel 2000 riceve in dono la macchina fotografica
del nonno fotografo che ha solo il tempo di dargli pochi essenziali
consigli, prima di cadere ammalato e morire dopo qualche mese. Coltiva
la passione con grande intensità, prima quale autodidatta e successivamente
frequentando corsi e workshop, tra i quali ricorda soprattutto l’esperienza
su una minuscola isola della Croazia con Robert Marnika e quella
in Toscana con il fotografo americano Jim Goldberg (Magnum). Collabora
con l’associazione “Piccolo Formato” di Bologna e tiene un laboratorio
di fotografia creativa con persone disabili mentali di Torino. E’
stato ideatore e curatore del “Festival delle arti (il tempo)” tenutosi
a Torino nel 2002. Ha esposto le sue opere in diverse mostre collettive
e personali. Alcune riviste di fotografia e di arte contemporanea
hanno pubblicato le sue foto. Ha vinto il premio nazionale giovane
talento fotografico FNAC 2004, il premio Festival Foto “Portfolio
in piazza” 2004 a Savignano sul Rubicone ed è stato premiato per
il miglior lavoro dell’anno con il “Portfolio 2004 - Gran premio
Epson Italia”.
Mostra
Senza la memoria fotografie
di Simone Martinetto
Che cosa saremmo senza il passato?
Dove andrebbero i nostri pensieri senza
potersi riallacciare a quelli precedenti?
Come si complicherebbero le cose banali di tutti i giorni
e che forma assumerebbe il nostro rapporto con il tempo?
Questa è la storia di Valentina, delle sue difficoltà a ricordare
e dei mille biglietti di cui è cosparsa la sua casa.
Valentina ha perso la memoria.
La causa non è chiara neppure ai medici: si pensa sia connessa all’uso
quotidiano di ansiolitici e ad un esaurimento nervoso curato con
l’elettroshock. Valentina ha una figlia che la ama e non riesce
a rassegnarsi al fatto che sua madre non sia in grado di ricordare
qualcosa per più di 2 minuti; ma soprattutto non riesce a credere
che in alcuni giorni non riconosca nemmeno lei e la scambi per la
propria madre.
Valentina esce da sola di casa soltanto per fare il giro dell’isolato
o per andare in parrocchia. Pinzato dentro la tasca delle sue giacche
ha un biglietto che le ricorda chi è e dove abita.
Valentina è mia nonna e anche se spesso non ricorda il mio nome,
io l’abbraccio sempre. Ogni tanto prendo con me la chitarra e mentre
suono, lei mi segue fischiando e canticchiando, assecondando il
suo grande istinto musicale.
Fotografi Senza Frontiere
L’associazione onlus Fotografi Senza Frontiere nasce dalla volontà
di tre fotografi, Giorgio Palmera, Emilano Scatarzi e Davide Fusco
di utilizzare la fotografia come mezzo per comunicare, diffondere
la cultura e sensibilizzare l’osservatore al rispetto del diverso,
tramite una conoscenza visiva. I laboratori fotografici vengono
realizzati con giovani che vivono in situazioni difficili e sono
spesso solo l’oggetto del commento mediato di osservatori esterni.
Lo scopo dei laboratori di FSF è quello di fornire a giovani svantaggiati
mezzi e formazione per potersi autorappresentare, così da aprire
un canale di comunicazione con il mondo esterno più fedele rispetto
alla loro realtà. In questo modo i giovani hanno anche la possibilità’
di imparare un mestiere e distrarsi dal quotidiano, esercitandosi
ad analizzare la realta’ da differenti punti di vista e a valorizzare
le proprie usanze e tradizioni. La fotografia è fra i mezzi migliori
per compiere tale percorso proprio per il suo linguaggio comprensibile
universalmente, senza bisogno di traduzioni. Attività’ parallela
e complementare svolta dall’associazione è quella di diffondere
attraverso mostre fotografiche itineranti, articoli su giornali
e la rivista on-line FSF Magazine in progettazione, il materiale
prodotto dagli allievi nei laboratori, così da agevolarne una diffusione
più ampia.
Mostra
Nicaragua, un paese visto dagli occhi dei bambini
fotografie di Saùl Abraham Palma Cruz
L’associazione onlus Fotografi Senza Frontiere interviene al festival
con la presentazione del progetto “Nicaragua, un paese visto dagli
occhi dei bambini”. Il progetto prevede la partecipazione al festival
di Saùl Abraham Palma Cruz, uno dei ragazzi nicaraguensi
che dal 1997 sono coinvolti nei laboratori di FSF. La loro storia
come giovani fotografi è molto interessante perché rappresenta tutto
l’iter metodologico che la onlus Fotografi Senza Frontiere propone
come modello ideale di lavoro. All’età di 12 anni, Saul e Jubhenat,
hanno partecipato al primo laboratorio fotografico realizzato a
Managua dal fotografo Giorgio Palmera e la ong Terra Nuova. L’anno
successivo e per tre anni di seguito hanno seguito i corsi fotografici
di livello avanzato gestiti da FSF e da altre associazioni. Ultimamente
lavorano come fotografi nelle comunità di origine e insegnano fotografia
ad altri bambini di strada. Questo rappresenta lo step finale della
nostra metodologia: rendere i ragazzi protagonisti e autonomi nella
gestione di nuovi laboratori sul territorio. La mostra si aprirà
con la presentazione da parte di Saùl Abraham Palma Cruz
del lavoro realizzato nei vari laboratori. Seguirà la proiezione
di un video-documentario, diretto dalla regista Simonetta Giordano
insieme ai ragazzi stessi, che mostra i momenti salienti di tutto
il percorso dei laboratori.
La parola all’immagine dal laboratorio
dei ragazzi delle scuole di Savignano
a cura del Circolo Fotografico Cultura e Immagine
La mostra è il risultato di una serie di incontri a cadenza regolare
svolti nelle scuole elementari e medie di Savignano con l’intenzione
di avvicinare i ragazzi al mondo della fotografia con un laboratorio
di sviluppo e stampa in bianco e nero, e ad approfondimenti culturali
sulla lettura dell’immagine e sulla comunicazione visiva.
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